Paolo Vites ci invita a leggere il testo integrale dei Red Hand Files di Nick Cave, è quanto di più bello sia mai stato scritto sulla musica:

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"Nei primi anni del 2000, ho visto Johnny Cash entrare in uno studio di registrazione, a Los Angeles: vecchio, malato, parzialmente cieco (negli ultimi anni della sua vita aveva un problema alla vista), l’ho visto sedersi e cantare una canzone, trasformandosi in un essere superiore.
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Ho visto Nina Simone scalare faticosamente pochi gradini verso il palcoscenico del Royal Festival Hall a Londra, era a malapena in grado di camminare, l’ho vista sedersi al pianoforte e trasformarsi.
Ho visto Shane MacGowan stare sul palco in un concerto in Francia,
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dopo essersi fatto almeno una decina di viaggi con l’LSD e, pur non sapendo dove si trovasse, l’ho visto trascinarsi al microfono, e iniziare a cantare così meravigliosamente bene... trasfigurandosi insomma.
Queste trasfigurazioni richiamano la natura religiosa della performance in quanto sono rappresentazioni della crocifissione e resurrezione di Gesù Cristo. Credo che tale narrativa della sofferenza e della rinascita - presente nella vita di tutti - sia ancor più meravigliosamente riconducibile alla performance musicale stessa. Grazie all’infinita potenza della musica, un performer riesce a trascendere il relitto della sua vita, realizzando una sorta di pubblico esorcismo che trasfigura se stesso in divinità."
Nick Cave
(traduzione mia)
Ringrazio Paolo Vites, giornalista e scrittore, che ha riportato nelle sue pagine social questa bellissima riflessione di Nick Cave.
Conosco Paolo Vites da tempo, e lo seguo sui social da alcuni mesi per avere recentemente letto il suo libro "Un sentiero verso le stelle. Sulla strada con Bob Dylan", dove racconta - con apprezzabile sensibilità e proficuo disincanto - i concerti di Dylan a cui ha assistito come giornalista e appassionato. In questo libro Paolo Vites verbalizza le emozioni vissute prima, durante e dopo i concerti di Dylan, fissandole bene al portapacchi delle nostre vetture ormai fuori produzione. E' un libro veramente godibile e simpatico, un po' on the road e un po' out of mind, che aiuta a ricordare le sensazioni profonde, durevoli e significative che abbiamo vissuto ai concerti del grande Bob, uno dei più grandi artisti performers conosciuti.
Grazie ancora, Paolo Vites.