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La performance musicale e la trasfigurazione.

Immagine del redattore: Alberto CagninAlberto Cagnin

Aggiornamento: 29 feb 2020


Paolo Vites ci invita a leggere il testo integrale dei Red Hand Files di Nick Cave, è quanto di più bello sia mai stato scritto sulla musica:

Nick Cave, cantautore, compositore, sceneggiatore, scrittore e attore australiano.

"Nei primi anni del 2000, ho visto Johnny Cash entrare in uno studio di registrazione, a Los ​​Angeles: vecchio, malato, parzialmente cieco (negli ultimi anni della sua vita aveva un problema alla vista), l’ho visto sedersi e cantare una canzone, trasformandosi in un essere superiore.

Ho visto Nina Simone scalare faticosamente pochi gradini verso il palcoscenico del Royal Festival Hall a Londra, era a malapena in grado di camminare, l’ho vista sedersi al pianoforte e trasformarsi.

Ho visto Shane MacGowan stare sul palco in un concerto in Francia,

dopo essersi fatto almeno una decina di viaggi con l’LSD e, pur non sapendo dove si trovasse, l’ho visto trascinarsi al microfono, e iniziare a cantare così meravigliosamente bene... trasfigurandosi insomma.

Queste trasfigurazioni richiamano la natura religiosa della performance in quanto sono rappresentazioni della crocifissione e resurrezione di Gesù Cristo. Credo che tale narrativa della sofferenza e della rinascita - presente nella vita di tutti - sia ancor più meravigliosamente riconducibile alla performance musicale stessa. Grazie all’infinita potenza della musica, un performer riesce a trascendere il relitto della sua vita, realizzando una sorta di pubblico esorcismo che trasfigura se stesso in divinità."

Nick Cave

(traduzione mia)

Ringrazio Paolo Vites, giornalista e scrittore, che ha riportato nelle sue pagine social questa bellissima riflessione di Nick Cave.

Conosco Paolo Vites da tempo, e lo seguo sui social da alcuni mesi per avere recentemente letto il suo libro "Un sentiero verso le stelle. Sulla strada con Bob Dylan", dove racconta - con apprezzabile sensibilità e proficuo disincanto - i concerti di Dylan a cui ha assistito come giornalista e appassionato. In questo libro Paolo Vites verbalizza le emozioni vissute prima, durante e dopo i concerti di Dylan, fissandole bene al portapacchi delle nostre vetture ormai fuori produzione. E' un libro veramente godibile e simpatico, un po' on the road e un po' out of mind, che aiuta a ricordare le sensazioni profonde, durevoli e significative che abbiamo vissuto ai concerti del grande Bob, uno dei più grandi artisti performers conosciuti.

Grazie ancora, Paolo Vites.


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