top of page

da Vincere, perdere, pareggiare

Immagine del redattore: Alberto CagninAlberto Cagnin

Aggiornamento: 11 lug 2024




I giovani, la fatica e la comunicazione.

E’ difficile parlare di fatica. E’ più facile fare fatica, piuttosto che parlarne. Come dice il mio caro amico Gianni, la fatica è gratis, è un dono di Dio. C’è un senso nel faticare, soprattutto quando lo scopo è raggiungere un obiettivo. Si fatica per raggiungere un obiettivo. Si chiama sacrificio.

Parlare ai giovani di fatica e sacrificio poi, è impresa impossibile. Ma non perché – come dicono gli scettici nostalgici dei bei tempi andati – mancano i giovani di una volta (cioè noi…). E’ impossibile perché spesso noi allenatori/insegnanti/educatori, nella nostra azione pedagogica, usiamo soltanto parole, risultando poco credibili. Spesso parliamo e basta. Teorizziamo. Pontifichiamo. E poi pretendiamo che siano loro a comprendere noi.

Trovo al contrario molto più stimolante e gratificante aiutare i giovani a capire il senso del sacrificio facendone esperienza insieme. Questo vale per gli allenatori, per gli insegnanti, per gli educatori in genere, per chiunque voglia lasciare un segno ai giovani interlocutori che incrociano la sua strada.

Non ricordo se ve l’ho già detto, ma la mia professione principale è quella di insegnare inglese. Insegno presso una scuola secondaria di primo grado, quella che una volta si chiamava scuola media. Ho iniziato a lavorare nella scuola poco dopo la laurea, dedicandomi a corsi di recupero, pomeriggi di doposcuola e supplenze presso la scuola elementare, l’attuale primaria. In virtù della mie due maturità acquisite (scientifica e magistrale) ho lavorato per 7 anni come maestro di classe (insegnavo matematica! e altre materie). In seguito sono passato alla scuola media come titolare di cattedra per l’insegnamento della lingua inglese.

Ne parlo perchè mi capita spesso di trovare delle analogie tra i due universi – scolastico e calcistico. Mi capita altrettanto spesso di parlare di calcio agli studenti, e di scuola ai calciatori; e così mi succede di sentire la responsabilità di rappresentare qualcosa per loro. Vorrei provare a spiegare perchè. I protagonisti di questi due mondi sono ovviamente gli stessi ragazzi, sono quelli che alleni e quelli che incontri nelle aule scolastiche. Durante la lezione o sotto la tettoia dello spogliatoio, uno degli argomenti che ricorre più spesso è quello della motivazione. Chiunque allena e chiunque insegna sa perfettamente quanto fondamentale sia la motivazione per arrivare all’obiettivo preventivato. “Devi avere più motivazioni per raccogliere maggiori risultati”, oppure “Se non sei motivato non puoi raggiungere nessun traguardo”, oppure “Trova in te le motivazioni per potercela fare”; sono tutte frasi che l’allievo sente spesso ripetere dal suo educatore.

Credo che sia necessario far capire ai ragazzi l’importanza delle motivazioni che ognuno deve avere per riuscire nella vita. Molti ragazzi, per dote naturale o per la concreta vicinanza della famiglia, riescono facilmente ad assimilare questo assunto; ma moltissimi altri sono assolutamente impreparati a ricevere l’input dell’educatore. La motivazione per loro rimane qualcosa di impalpabile, di staccato dalla loro vita, e tu – insegnante e allenatore – li vedi come persi nella foschia della loro età, confusi e lontani da te e dalle tue speranze.

Ma è proprio per questi ragazzi, per queste persone che noi adulti definiamo frettolosamente superficiali o, appunto, demotivati, che dobbiamo vincere la sfida che abbiamo accettato quando abbiamo deciso di relazionarci con i giovani. La nostra azione infatti non è rivolta solo ai talentuosi, a quelli che riescono, a quelli che capiscono, ma anche e soprattutto a chi è impreparato o meno fortunato. So benissimo che sto rischiando di annoiarvi – nel qual caso siete autorizzati a saltare al capitolo successivo; ma se vi sentite coinvolti dal tema provate a leggere quello che segue senza alcuna remora. Dopodichè nessuno vi verrà a dire niente se deciderete di usare il presente volumetto come supporto per puntellare la libreria.

Perchè dobbiamo essere motivati? Perchè dobbiamo cercare queste benedette motivazioni? La risposta è semplice: perchè c’è da fare un sacco di fatica, ma proprio tanta.

Nella partita della vita, ogni traguardo importante viene raggiunto con la fatica e il sacrificio. Quello che ottieni facilmente può essere frutto del caso, della fortuna, del contesto familiare che non ti sei scelto, ma tu comunque devi poi dimostrare di essere all’altezza della situazione. Qualcuno, parlando di calciatori e semplificando all’estremo, sostiene che a certi livelli è facile arrivare e che il difficile è rimanere. Io credo che non sia nemmeno facile arrivare, anzi, penso che ci si possa trovare in un sentiero meno tortuoso, ma di stare pur sempre in viaggio si tratta[1]. Da qualsiasi lato si voglia vedere la questione, resta il fatto che tutto ciò che riesci ad ottenere con la fatica, con l’abnegazione, con il sacrificio, con la dedizione, con l’amore, ha in sè una carica di positiva convinzione che ti sostiene per tutta la vita.

La questione attorno alla quale si arrovella la riflessione dell’educatore è che i suoi pensieri e le sue nobili conclusioni non sono patrimonio dei giovani. I giovanissimi, per loro natura, faticano a pianificare le attività del giorno dopo. E’ la beata gioventù attraverso la quale ciascuno di noi è passato: la scarsa lungimiranza è una caratteristica dei ragazzi e delle ragazze di oggi e di ieri. Caratteristica che – per un bizzarro spasmo cronologico - allontana fra loro le generazioni, innalzando ostacoli alla reciproca comprensione.

Il muro che separa le generazioni non è invincibile. La qualità e la varietà della comunicazione è il piccone che lo può demolire. A mio sommesso parere è proprio sul tema motivazione che ci si gioca la qualità della comunicazione tra formatore e allievo.

Io sono convinto che per comunicare positivamente la necessità di riflettere sulle motivazioni occorra fare propri alcuni atteggiamenti o attenzioni che sono imprescindibili per qualsiasi educatore e che di seguito provo a riassumere:

  • dimostrare che tu stesso sei motivato nel portare avanti il tuo lavoro: è il migliore appello alla motivazione che si possa fare;

  • dimostrare fiducia nelle potenzialità degli allievi: è un volano che in breve tempo innalza la loro autostima – e credo anche quella del formatore; al contrario dimostrare sfiducia è un boomerang che si abbatte con nefasti risultati su tutto il processo;

  • dimostrare la capacità di trarre benessere dalle cose che fai: divertirsi, coltivare il pensiero divergente, relativizzare, evitare insieme il fanatismo e il lassismo, stare bene con gli altri, non è solo il casuale incontro di situazioni positive, ma è anche un dovere professionale per qualsiasi educatore inserito in una comunità calcistica o scolastica;

  • dimostrare che sei disposto a investire il tuo tempo per loro: accettare di stare con gli allievi senza necessariamente doverli spremere per il raggiungimento di qualche obiettivo significa passare liberamente del tempo insieme, senza traguardi immediati, in un contesto che lascia spazio alla spontaneità e allo scambio;

  • dimostrare che non sei disposto ad accettare nulla che ti possa allontanare dal tuo ruolo di educatore: se si può stare con gli allievi in un contesto di tempo libero, non significa che l’allenatore possa diventare l’amico, o l’insegnante il confidente dei suoi ragazzi;

  • dimostrare che sei disposto a prendere le loro difese contro chiunque: i ragazzi percepiscono se l’educatore sta veramente dalla loro parte, o se si pone all’esterno della loro vita per guidare con fredda professionalità i loro passi incerti; l’educatore è visto come una persona che considera il percorso di questi ragazzi la causa ultima del suo lavoro, la scommessa su cui egli stesso ha puntato tutto;

  • dimostrare che non sei disposto a transigere dalle tue convinzioni educative: transigere significa aprire nuovi scenari formativi, che a volte possono contraddire, confondere e destabilizzare;

  • ...;

Essere educatori richiede una capacità relazionale non comune; motivare i giovani alla fatica è inutile e controproducente se non vi è un pensiero onesto e inesorabilmente risoluto a monte. Il mondo degli adulti deve assolutamente riscoprire l’importanza del suo ruolo nel percorso formativo dei giovani: quando tutte le componenti adulte della società – insegnanti, allenatori, sacerdoti, politici, amministratori ecc. - saranno in grado di pensare, di preoccuparsi, di stare di più con i giovani, avremo una società più ricca e attenta ai bisogni di tutti; avremo una società dove i giovani saranno protagonisti del loro tempo e non soggetti rassegnati ad accettare l’incognita di un futuro che ottenebra i loro progetti e le loro speranze.

Lavorare con i giovani mi ha aiutato a capire che non sono loro i demotivati, non sono loro gli scansafatiche, non sono loro quelli che si tirano indietro. Nella stragrande maggioranza dei casi ho come l’impressione che i giovani pendano veramente dalle labbra degli adulti a cui fanno riferimento.

Quando ci si relaziona ai giovani per raggiungere i nostri traguardi, non risultiamo mai credibili; se stiamo con i giovani solo per noi stessi, l’obiettivo di lasciare un segno è irraggiungibile. Allenare una squadra di giovani per affermare il nostro desiderio di emergere, insegnare per vedere confermata negli studenti la nostra competenza didattica, è come suonare uno strumento per far vedere la tua tecnica, ma non la tua anima.

Il grande musicista non deve solo saper suonare. Come dice De Gregori, non basta saper cantare. Il vero musicista deve anche mostrare l’anima, deve mostrare se stesso, cioè deve saper comunicare.

L’allenatore è un insegnante che deve emozionare, svegliare dal torpore, smuovere, motivare con comunicazione calda ed efficace. Tutto ciò che non passa attraverso le parole, ma attraverso l’emozione, il calore, gli occhi, la voce, i gesti, l’esempio, ecco, tutto questo lascia il segno. E la fatica si fa sacrificio gratuito. Non costa niente. E tutti imparano di più, dando il meglio di sé.

[1] Viaggiare = To travel in Inglese; Travailler in francese significa lavorare; in alcune zone del Sud Italia, travagliare significa lavorare e in alcune regioni lavorare si dice faticare. Il concetto di viaggiare è molto vicino all’idea di fare fatica.


62 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page