‘È la prima volta che alla notizia di nuovi compiti sento Anna che urla felice: "EVVIVA NUOVI COMPITI....ERA ORA!"’. Così mi scriveva qualche giorno fa la mamma di un’alunna. E ancora: ‘I compiti che ci sta dando sono molto divertenti e mi piacciono’, scrive un alunno. Dodicenni contenti di fare i compiti: sembra fantascienza e invece sono solo alcuni dei feedback che ho ricevuto in queste prime settimane di didattica a distanza. È terminato il primo mese di aule vuote, campanelle mute e professori davanti ai computer. E cosa abbiamo imparato? Cosa possiamo ancora imparare? All’inizio siamo stati spaesati, confusi. Non sapevamo dove andare a sbattere la testa prima. Siamo stati catapultati nel magico mondo digitale e abbiamo reagito con paura (terrore, in qualche caso), entusiasmo (follia, in qualche caso), sconforto (disperazione, in qualche caso). Poi abbiamo cominciato a misurarci con strumenti che prima usavamo forse al 10 % delle loro potenzialità e adesso, ciascuno coi suoi tempi e secondo le sue possibilità, stiamo cominciando a gestire meglio. La competenza di ‘imparare a imparare’, che dovremmo aiutare i nostri ragazzi a sviluppare, la stiamo sperimentando sulla nostra pelle. Ma in tutto ciò, istintivamente, abbiamo tentato di tradurre, con mezzi ‘di fortuna’, quello che sapevamo fare: spiegare, dare esercizi, correggerli, dare i voti, fare recuperare chi rimane indietro, e via così. E così abbiamo iniziato a caricare sul registro elettronico le pagine da studiare e gli esercizi da svolgere. Abbiamo cercato piattaforme di videoconferenza nella speranza di poter fare le lezioni come se fossimo in classe. Un amico mi raccontava che gli insegnanti di sua figlia appaiono sugli schermi del computer ogni giorno per cinque o sei ore, secondo l’orario scolastico approvato a inizio anno e scritto sul diario: spiegano, fanno esercitare gli alunni, rispondono alle domande. Solo che all’ora di pranzo alla figlia girano gli occhi… E per fortuna in famiglia hanno tanti computer quante persone devono usarli, altrimenti sarebbe impossibile. Stiamo cerando di replicare un modello di scuola basato sulla presenza quotidiana di alunni e insegnanti tra le stesse quattro mura, con banchi, libri, quaderni, orari, intervalli, uscite per il bagno, ecc. Forse adesso, dopo un mese, e con la prospettiva di chissà quanto altro tempo davanti, ci siamo accorti che qualcosa stride. Facciamo tanta fatica, non siamo convinti che le cose funzionino. E non funzionano davvero. Un’ora in classe non è uguale a un’ora davanti a uno schermo. Le mura non ci sono più. I banchi neanche. Niente campanelle, niente cambio d’ora. Niente intervallo (anche se per gli alunni svogliati è tutto un lunghissimo intervallo…). Perché non è questione di strumenti, ci vuole un cambio di paradigma. Abbiamo l’opportunità di imparare come si insegna al tempo di CoVid. Siamo abituati a ragionare per obiettivi, a programmare, a utilizzare strumenti, a valutare. E dobbiamo continuare a farlo ma in circostanze mutate: alunni che trascorrono molte ore chiusi in casa, con o senza la presenza dei genitori; l’accesso a internet continuo; la tentazione del disimpegno e della pigrizia; l’assenza di contatto reale, visivo, della presenza fisica. Cosa possiamo e dobbiamo fare in queste circostanze? Io mi sono dato queste risposte. Per prima cosa trovare modi per mantenere il contatto e il rapporto con gli alunni: priorità assoluta. La scuola è soprattutto una relazione. Non mi va, non mi basta, caricare compiti sul registro elettronico, quando poi non so se e da chi sono stati scaricati e svolti. O inserire messaggi se poi non vedo chi li ha letti e chi no. La sfida è audace: mantenere il contatto con tutti. Gli strumenti ci sono: piattaforme, email, forum. Se necessario telefoniamo a casa. Secondo: trasmettere e insegnare ai ragazzi senso di responsabilità e impegno perché capiscano che devono fare un salto di qualità. Iniziativa, creatività e impegno adesso valgono molto di più della risoluzione di un esercizio. I compiti e le attività proposte dovrebbero sviluppare queste competenze più di ogni altra. Realizzazione di elaborati, utilizzo maturo degli strumenti informatici (dall’invio di una e-mail, se non sanno farlo, all’uso di Word, Power Point, fino ad app anche più complesse). ‘Grazie Prof! Anche se non ho fatto tutto correttamente sono contenta perché sono stata onesta’: così mi ha scritto, quando le ho inviato il risultato, un’alunna dopo una verifica che ho assegnato online (e quindi svolta a casa, con possibilità di libri aperti, internet e quant’altro). Responsabilità è anche gestione del tempo: non c’è l’orario scolastico, ma l’insieme delle attività che ti sono state assegnate e la scadenza entro cui svolgerle. Organizzati tu come meglio credi. Puoi anche alzarti alle dieci del mattino, ma sai che entro il dato giorno devi inviarmi ciò che ti ho richiesto. È più importante la puntualità che la precisione del lavoro svolto. In questi tempi incerti e strani, se vogliamo essere efficaci e fare onore a quel ‘segno’ che la nostra professione di in-segnanti ci invita a lasciare, dobbiamo fare un cambio di paradigma. La scuola ‘digitale’ è diversa da quella ‘fisica’. Non si sa se migliore o peggiore, ma diversa. Alcuni anni fa vinse il Leone d’oro alla Mostra internazionale del cinema di Venezia un film cinese. ‘Non uno di meno’, si intitolava: in un piccolo villaggio rurale una giovanissima supplente affrontava mille peripezie per recuperare un alunno, perché sarebbe stata pagata solo se avesse restituito la classe intera al titolare. Non era la motivazione economica a spingerla, si scopre mentre va avanti il film, ma un affetto reale per tutti e ciascuno dei bambini a lei affidati. Noi ci siamo.
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